Realizzata da Luca Cardin, Zeroviolenza
11 febbraio 2016
Michele Boato, Venezia e l’Alto Adriatico sono da sempre alle prese con un problema di subsidenza. Qual’è oggi la situazione e quali sono i danni che potrebbero provocare le trivellazioni?
Il suolo di Venezia si è abbassato di 13 cm. nei 40 anni successivi al 1930, a causa della fondazione di Porto Marghera, che ha comportato enormi emungimenti di acqua per le sue industrie. Questa subsidenza è cessata con la cessazione delle estrazioni, decretata, con la Legge Speciale, dopo l’alluvione disastrosa del 4 novembre 1966. Da allora si discute di come “salvare Venezia” dalle acque alte, ma i progetti di trivellazioni al largo della laguna e di Chioggia andavano esattamente nel senso opposto.
Il prof. Zambon aveva studiato e denunciato -del tutto inascoltato- la subsidenza causata dall’estrazione di metano nel Delta del Po e nell’area di Ravenna: nel Delta, l’enorme alluvione del 14 novembre 1951 -84 morti e 180mila sfollati, la maggior parte dei quali mai più tornati nelle loro case- non aveva insegnato niente. Negli anni successivi era arrivata l’Eni di Mattei ad estrarre enormi quantità di metano misto ad acqua, provocando abbassamenti superiori anche ai due metri nell’area di Porto Tolle. Poi finalmente furono interrotte le trivellazioni.
Non sono state fermate, invece, le perforazioni nella provincia di Ravenna, nonostante si siano verificati abbassamenti superiori ai 120 cm. con “imbuti” attorno ai pozzi di Alfonsine, Ravenna e Cotignola. Ma si verificano notevoli abbassamenti anche a distanze di 20-30 km dai pozzi: a Porto Garibaldi (vicino a Comacchio), per esempio, distante ben 25 Km dal pozzo di Alfonsine,si verifica un abbassamento di 60 cm.
La Regione Veneto, guidata dal leghista Zaia, è una delle Regioni capofila nella promozione del referendum. Come mai la Lega Nord ha sposato in pieno la causa No Triv?
E’ sulla base di questi precedenti, che, negli anni ’90, ci opponiamo totalmente alla richiesta di Eni-Agip di estrarre metano al largo di Venezia. La prima denuncia è un’interpellanza parlamentare presentata col collega deputato socialista ing. Vazzoler del CNR veneziano, addirittura nel 1987. Poi negli anni ’90 riusciamo a portare il Consiglio regionale del Veneto, assolutamente unanime, ad una opposizione nettissima, sostenuta anche dalla Giunta Galan e da un paio di ministri del governo Prodi (Ronchi e Bindi) ma osteggiata da vari altri.
La battaglia è stata fatta allora assieme al Comitato No Agip, e l’abbiamo vinta anche in tribunale nel 1998 quando alcuni “esperti” nominati dal governo, da me accusati di non essere super partes – ma in busta paga dell’Eni, volevano la bellezza di due miliardi di lire per danni.
I Consigli e le Giunte regionali successive, compresa quest’ultima di Zaia, hanno continuato su questa linea senza tentennamenti -una sola voce stonata, di un consigliere nella scorsa legislatura- come dimostra il recentissimo voto del Consiglio che all’unanimità impegna la Giunta a ricorrere in Corte Costituzionale sui due Referendum No Triv ingiustamente non convalidati.
A Porto Marghera dopo le battaglie ambientaliste degli anni ’80 e ’90 sembrava si fosse imboccata la strada della rigenerazione economica e occupazionale dell’area. Da quando è scoppiato lo scandalo Mose tutto si è fermato (Porto Marghera, la bonifica incompiuta). Quali sono per te i passi necessari per far ripartire il processo?
Accanto e parallele alle ruberie del Mose, ci sono quelle sulle bonifiche di Porto Marghera, che dopo quasi 30 anni, non sono che all’inizio, nonostante enormi fondi stanziati e “spesi”.
Una generale e trasversale connivenza ha coperto incredibili avvelenamenti di operai: le centinaia di morti da tumore da veleni al cloro tra gli operai chimici hanno provocato tre leggere condanne di dirigenti secondari; decine di morti accertati per amianto nei cantieri navali, aspettano giustizia da decenni; ecc.
Poi c’è la popolazione di Mestre, Marghera e Mira, mai tutelata seriamente: l’unica indagine seria, fatta dopo il 2000 -grazie a un fondo regionale, ottenuto con una sofferta “vertenza” portata avanti soprattutto da Paolo Cacciari e pochissimi altri consiglieri regionali- ha verificato l’aumento notevole di vari tumori nelle popolazioni che abitano in Comune di Mira “sotto vento” ai fumi degli inceneritori e impianti di Porto Marghera.
Ora le priorità sono:
Per primo, completare la bonifica delle decine di ettari solo in parte trattati e che continuano perciò a inquinare la laguna e ad avvelenare la sua fauna, compreso il pesce pescato più o meno legalmente.
Poi smettere l’avvelenamento di massa e l’emissione di gas serra dalla centrale Enel di Fusina, che brucia carbone e rifiuti.
E infine Rendere disponibili le aree per attività manifatturiere a basso impatto ambientale (l’impatto zero non esiste) e alta intensità di lavoro. Purtroppo il soggetto principale di questo progetto, il Comune di Venezia, non è mai stato all’altezza della situazione. E non sembra che lo sia neanche ora…
Tanto meno lo sono le associazioni degli industriali e i sindacati dei lavoratori, attente quasi solo al loro particolare. Lo stesso vale per la regione Veneto, che non è andata oltre al co-finanziamento delle strutture del Vega, che negli anni, da incubatore di nuove attività, soprattutto giovanili, si è trasformata in banale immobiliare per precipitare ora col fallimento delle Nano-tecnologie e il disastro dell’Expo Aquae, dettato da totale assenza di idee e di umile apertura alla collaborazione dell’intelligenza collettiva, diffusa tra la popolazione e delle vicine Università.
Alex Langer fu tra i primi a lanciare un grido d’allarme contro il “demone dello sviluppo” e a parlare di “conversione ecologica” non solo dal punto di vista capitalistico, ma pensando a un processo di trasformazione personale ed esistenziale prima di tutto. Cosa ci resta della sua lezione oggi?
Alex è una delle persone che, in Italia e non solo, più si sono spese sia per l’ambiente che per la giustizia sociale: la Campagna Nord-sud, che tanto positivamente ha condizionato la Conferenza di Rio del 1992, metteva sullo stesso piano, per esempio, la difesa della foresta Amazzonica e quella dei suoi abitanti minacciati ugualmente dalle multinazionali e dai governi loro amici.